Partiamo dal concetto di archivio come unicum: interdipendenza necessaria tra
documenti
aree di competenza
sistemi di gestione
sistemi di produzione dei documenti
modalità organizzative
normativa
regolamentazione
teniamo comunque presente che per funzioni pratiche possiamo articolarlo in più componenti; la partizione più classica è la suddivisione in base al ciclo di vita: corrente, di deposito e storico. Da qualche anno, anche su suggestione della scuola archivistica australiana, si è aggiunta la fase di concezione, più strettamente connessa all’archivio informatico anche se ora in ambito informatico parliamo di un continuum, proprio per la sovrapposizione cronologica delle diverse attività che prima si svolgevano in sequenza.
All’unicità dell’archivio non può non corrispondere una unicità professionale, così come previsto dalla norma UNI 11536 – che definendo la figura professionale dell’archivista, fissa i requisiti di conoscenza, abilità e competenza – coerentemente con il quadro europeo delle qualifiche (EQF).
Abbiamo realizzato e concluso nel 2015 con ANAI il rilevamento sulla professione archivistica, attività che abbiamo deciso di proseguire in forma stabile istituendo l’osservatorio sulla professione. Quello che è emerso è che l’approccio alla professione è ampissimo e variegato sotto ogni aspetto: tipologia di contratti (incardinati, non incardinati, libero professionisti, aziende, ecc.) e ambiti di intervento: paleografi, riordinatori di archivi storici, addetti ai servizi di archivio degli enti locali, fino all’ultima complessa e contesa figura dei Responsabile della conservazione dei documenti informatici.
Ma cosa caratterizza un archivista rispetto ad un informatico? Proprio la visione dell’unitarietà dell’archivio. Se i tecnici ora previsti per legge a sovrintendere a tutte le attività connesse alla conservazione del digitale sono in grado di fornirci le indicazioni e gli strumenti per attuarla, è l’archivista che deve garantire che l’insieme delle operazioni che si vanno a svolgere consentano la ricostituzione dell’archivio come unico. E’ necessario mantenere tutti quei legami interni ed esterni che fanno di un archivio un archivio e non una ammasso di “paperasse”, rubando una parola cara ai colleghi francesi.
Va sottolineato che il problema della frammentazione dell’archivio nasce prima dei temi connessi alla conservazione digitale. Al decentramento e frammentazione delle attività dei soggetti produttori corrisponde il decentramento e frammentazione degli archivi correnti, a cui invece tende a corrispondere un unico deposito: pensiamo alle funzioni trasversali dei comuni che si aggregano neanche più in unione di comuni ma costituendo per funzioni diverse partenariati diversi.
Anche la modifica dei tempi di transizione tra le fasi di vita dell’archivio aumenta il rischio della sua frammentazione. Se in ambito informatico parliamo di continuum non mettiamo più un punto di inizio a quello che in ambiente tradizionale chiamiamo archivio storico, che inizia con la documentazione antecedente il quarantennio o il trentennio e così si allontana la percezione dei documenti e degli archivi informatici come patrimonio culturale da salvaguardare per un periodo di tempo illimitato.
Gli stessi soggetti produttori non sanno neppure di possedere gli archivi elettronici in quanto archivi, anche per meccanismi quali la cooperazione applicativa, un’applicazione che può far uso di un’informazione elaborata da un’altra applicazione; ad esempio un applicativo sanitario può “richiedere” i dati anagrafici al programma di anagrafe civile del comune di residenza del cittadino. Questo processo è ora ampiamente in uso, penso in particolare alla gestione di tutta la fiscalità presso gli enti locali. Ma aderire a questa modalità di gestione di proprie sezioni di archivio vuol dire che il produttore perde il controllo della produzione, gestione e conservazione di parti consistenti di documentazione, perdendo di vista quella unicità che abbiamo detto fa di un archivio un archivio.
Allora, in che modo possiamo pensare di ricomporre e mantenere la visione del nostro archivio, per lo più immateriale e frammentato in più luoghi di conservazione? Innanzitutto attraverso l’adozione di norme stabili di governo che ci garantiscono la memoria e la capacità di rintracciare e recuperare si le nostre informazioni ma anche e soprattutto i documenti necessari a certificare e sostenere l’attività propria di ciascun produttore.
Quindi sarà il nostro manuale di gestione, obbligatorio per ogni ente pubblico, per cui le Regole tecniche hanno previsto una serie di passaggi di aggiornamento, a raccogliere tutte le indicazioni, le norme e le “memorie” che sottendono al nostro archivio. Non ultimo sarà proprio tra gli allegati al manuale che dovrà trovare posto il protocollo di intesa che va obbligatoriamente sottoscritto tra l’ente aderente ed il polo di conservazione.